la mia prima volta
a mosca (secca!)

la mia prima volta a mosca (secca!)

di Massimo Mascalchi
breve racconto (settembre 1991)



dedicato a Gino...

COME HO COMINCIATO

La pesca è sempre stata la mia vera passione e, quindi, molto di più di un semplice hobby.

Ho cominciato come tanti, da ragazzetto, pescando nei torrenti che, per fortuna, avevo vicino a casa per poi diventare, con il tempo, il classico pescatore: canna fissa o bolognese e tanta pastura dosata da altrettanta pazienza con appeso al collo l'enorme e pesante sacchetto di tela pieno di bigattini, ne ricordo ancora l'odore! 

Quando anni fa, tanti anni fa, ho iniziato a pescare a mosca fu per pura casualità. A quei tempi, per mantenere la famiglia e gli studi universitari che ormai volevo terminare, mi adoperavo come facchino per una filiale fiorentina di una importante cartiera italiana; la maggior parte del mio lavoro era dedicato alle consegne di pesanti pacchi di carta a tipografie e ad altri utilizzatori di carte speciali in Firenze e provincia. La mia storia incomincia proprio a Firenze dopo una consegna di diversi quintali di carta ad una delle tante tipografie della città. Ricordo che erano i primi giorni di luglio e le ferie sembravano lontane anni luce e c'era ancora tanto lavoro da fare. Faceva molto caldo e la cabina del mio furgone era un vero forno, visto che avevo parcheggiato all'ombra decisi di aspettare ancora un attimo prima di risalire e continuare le consegne. Mi trovavo ancora lì, appoggiato ad un muro con gli occhi socchiusi mentre cercavo di percepire il minimo spostamento d'aria voltando lentamente il viso ora in una direzione poi nell'altra, quando ad un tratto da un negozio che si trovava proprio di fronte a me uscirono due persone, uno di loro teneva in mano uno strano tubo. Attraversarono la strada e vennero sul marciapiede a pochi metri da me, l'uomo con il tubo ne svitò il tappo e tirò fuori il contenuto; realizzai quasi subito che si trattava di due pezzi di una strana canna da pesca ma era la prima volta che assistevo a questo rito! Una volta montata la canna l'altro gli passò un mulinello che fu subito innestato. "Sentila ora..." mormorò con l'aria soddisfatta di chi la sa lunga, l'altro impugnò la canna e la gesticolò con dei modi allora a me strani ma che in quel momento quasi mi ipnotizzarono. Rimasi ad osservarli mentre discutevano sui pregi di alcune scelte di costruzione e delle rifiniture. Il loro parlare mi sembrava strano e nuovo e non solo nei termini. La canna fu poi smontata e rimessa nel tubo, i due si salutarono e uno di loro rientrò nel negozio con quello che ormai mi appariva come un'antenna radio alla quale la mia mente si era già sintonizzata: dovevo saperne di più!. 

Sì, ero rimasto stregato, non sono riuscito a trattenermi: con un balzo entrai nel negozio e subito mi trovai di fronte a delle attrezzature da pesca che non conoscevo. Dopo avere attraversato in lungo e in largo il locale, con passi lenti e soffermandomi a lungo su ogni esposizione, l'occhio mi cadde su di un banco dove feci il mio primo incontro con le mosche, "che belle!". Non so quanto tempo sono rimasto lì immobile, affascinato e stupito. "Serve qualcosa?", era il commesso che richiamava la mia attenzione e io, impacciato, non sapevo cosa rispondere mentre lo guardavo. Passarono degli attimi e lui nuovamente: "Serve qualcosa?", non so come e perché ma esclamai: "Ma con queste si pesca?". Il commesso accennò un breve sorriso "Si, con queste si pesca..." e io: "Davvero?". Con la professionalità di chi è addetto al commercio e la sa lunga si avvicinò e... "Guarda..." aprì una rivista e sotto i miei occhi cominciò a sfogliarla lentamente pagina dopo pagina. Non ricordo cosa mi stava dicendo, io stavo lì con i gomiti appoggiati al banco, il mento sui pugni e gli occhi sgranati sulle foto di quei pescatori che volteggiavano con maestria, almeno così mi sembrava, le code sul pelo dell'acqua di quei fantastici torrenti, fiumi e laghi e che soddisfazione esprimevano tenendo in braccio quelle favolose prede che avevano catturato e come erano diversi da tutti gli altri pescatori che conoscevo, specialmente da me, l'abbigliamento poi era così sobrio e divertente. Quando la rivista fu completamente voltata mi sono sentito come illuminato: sapevo di che cosa si stava parlando ed ero ormai convinto che quella sarebbe diventata la mia pesca. Ed ecco la bravura di chi conosce il suo mestiere: "... quanto sei disposto a spendere?", "Sai io sono uno studente e per mantenermi lavoro e ho anche famiglia..." e lui pronto: "Abbiamo proprio delle offerte per chi inizia...". 

Sono uscito da quel negozio con la mia prima attrezzatura completa: canna, mulinello, coda, finali già pronti, siliconi e spray vari, scatoline con qualche mosca e un kit per costruirle; il mio portafoglio era rimasto quasi vuoto ma c'era tanta voglia di cominciare. Che strano, non avevo più caldo ma tanta fretta di terminare il mio lavoro perché era ancora giorno e la notte avrebbe tardato a venire! 

Non ho mai avuto un risentimento verso quel commesso, mai ho avuto un ripensamento per quella scelta perché è stato così che un giorno entrai in quel che fu il negozio di Roberto Pragliola in Firenze. È stato così che un giorno sono uscito da quel negozio con l'intenzione di diventare quello che non ero mai stato: un vero pescatore! Così credevo... 

LA PRIMA VOLTA SUL FIUME

Terminata l'ultima consegna scaricai fulmineo dal furgone al bagagliaio della mia auto i nuovi acquisti sulle vecchie attrezzature che erano sempre state lì a portata di mano ma che già mi apparivano, fuorché gli stivali e il cappello, obsolete e inutili. Già, la mia auto... una vecchia Kadett L 1100 del '68, color verdino ma metallizzato! Per i miei bisogni l'avevo sottoposta a non so quante modifiche o torture, poveretta... la rammento ancora oggi con nostalgia, era per me come una compagna tanto è vero che le avevo dato anche un nome: Frida! Con lei ho girato in lungo e in largo o meglio in basso e in alto tutti gli Appennini e in che posti riuscivamo ad arrivare! Una volta persino dei cacciatori, a bordo di un fuoristrada, rimasero stupiti di come avevo fatto a raggiungere con Frida una foresta dell'alto Casentino, un posto assai scosceso circondato da profondi e rovinosi burroni tanto è vero che al ritorno, preoccupati, mi seguirono con la loro Land Rover per tutto il tragitto fino a "qualcosa" che assomigliava ad una strada e questo nel caso mi fossi trovato in difficoltà ma Frida non tradì le mie aspettative e mostrò con orgoglio tutte le sue capacità. Imprudenza? Forse, un po' di incoscienza dettata dalla giovane età? Anche, ma con Frida ero sempre alla ricerca del posto migliore e dalle acque magiche. Quanti torrenti le ho fatto attraversare con l'acqua che entrava zampillando persino da sotto le pedane, su quanti greti dei fiumi l'ho parcheggiata e all'imbrunire era sempre lì che mi aspettava pronta a riportarmi a casa. Eh, si, che bei tempi! Premetto che ancora dovevo maturare quel rispetto all'ambiente che oggi mi contraddistingue.

Il traffico cittadino di allora non era molto caotico e da dove abitavo si poteva raggiungere la Sieve in un poco più di una mezz'ora. Questo era un bel fiume ricco di pesce (per lo più ciprinidi ma era presente anche qualche bella troterella) con dei tratti più che belli, incontaminati e immersi in una natura che ancora oggi affascina, benché negli ultimi anni sia stato fatto di tutto per far degradare quelli che erano i torrenti tra i più belli d'Italia: quelli del Mugello. Decisi di recarmi a Sagginale, una località prossima a Borgo San Lorenzo. Conoscevo bene quei posti, ogni striscio, fondale, ansa, ogni anfratto sotto le fronde delle vetrici. Parcheggiai Frida lungo un campo che costeggiava il corso della Sieve e, una volta aperto il bagagliaio, infilai gli stivali e... fu più il tempo perso nel preparare la nuova attrezzatura che quello che avevo percorso per raggiungere il fiume. Non ricordo quante volte ho tentato di avvolgere la coda sul mulinello prima di scoprirne il verso giusto con un metodo pressoché ritenuto al momento corretto. Comunque per quella prima esperienza sarebbe stato sufficiente leggere le istruzioni sulle confezioni... insomma, andavo di fretta! Ma ancora non era finita: il finale, ma dove cavolo si annoda e come? 

Una volta riuscito a legare al meglio il finale e fatto il nodo alla prima mosca (fatto il nodo alla prima mosca? Diciamo impiccata la prima mosca!), scesi nel fiume. L'acqua era lo specchio del cielo, scorreva lentamente e i cavedani che lo popolavano bollavano come sempre verso quell'ora. Era il momento delle ultime schiuse, lo sapevo, ma ancora non avevo coscienza di che cosa effettivamente si trattava. E adesso cosa dovevo fare? Come doveva funzionare il tutto? Ripensando ai pescatori e ai loro gesti, immortalati nelle fotografie della rivista che avevo visto qualche ora prima, provai... lascio all'immaginazione del lettore descrivere cosa sia successo e quante volte ho raggiunto la vegetazione che avevo alle spalle o di fronte e quante volte ho cercato di recuperare le mosche "volate" sui rami più alti. Il tip si accorciava sempre di più finché non fui costretto a sostituirlo... continuò così finché rimasi senza mosche e il tutto si era consumato in pochi minuti. 

Non ero più convinto della mia scelta. Mestamente guadai il fiume fino all'altra riva per andare a sedermi sul greto a guardare lo scorrere dell'acqua con i riflessi di un caldo pomeriggio che si stava preparando al calar del sole. Erano passati pochi minuti quando una voce mi fece sussultare: "Prima volta, eh?..." mi voltai e dietro di me c'era un vecchio, alto e magro con il volto che sprofondava in una fitta barba bianca come la neve. Era a torso nudo, indossava degli stivali di gomma che sembravano più vecchi di lui e che si sorreggevano a fatica a dei passanti degli altrettanto vecchi pantaloni di velluto blu sorretti a loro volta da delle grosse bretelle rosse, sulla testa portava un cappello di paglia a tesa larga e annodato al lungo collo un variopinto fazzoletto. Teneva in mano una canna di bambù smontata in tre pezzi, ricordo ancora il mulinello di radica di strana fattezza che era fermato con del filo di ferro all'impugnatura che non esisteva quasi più. Ma la cosa che risaltava era quel mozzicone di sigaro che teneva stretto tra le labbra bluastre. "... è da quando sei arrivato che ti sto guardando..." continuò a parlare spostando quel mezzo sigaro da una parte all'altra della bocca "... sicuramente, te lo devo dire, non sei il massimo..." e sorrise. Non risposi e mi voltai nuovamente verso il fiume. "Ti piace pescare?", aspettai ancora un attimo prima di rispondere e quando lo feci era già seduto accanto a me, "Si, mi piace...", "Mi chiamo Gino" disse allungandomi la mano "Massimo, piacere...", gli strinsi la ruvida e callosa mano, "Ah, ma allora sei il 'massimo'!" la battuta non mi fece sorridere. "Che cosa pensi o pensavi di ottenere con questa pesca?" domandò, "Non lo so... Mi era piaciuta l'idea ma a quanto pare non è stata buona" risposi con un filo di voce. "Mi fai vedere la tua canna?" gliela passai, "Non è un gran ché, ma che razza di marca è?" accennò, lo guardai dritto negli occhi poi accennai alla sua canna, aveva capito: "La mia è un buon legno... ha tanti di quegli anni, purtroppo non trovo un'impugnatura che gli s'addice e poi mi ci sono affezionato...". E continuando ad osservare la mia attrezzatura: "... mah, la coda poteva essere migliore, ti hanno proposto un affare eh?", "Era quello che mi potevo permettere!" risposi seccato. "Comunque nella pesca a mosca è la 'mano' che conta..." parlava adesso lentamente e con un tono molto più basso di quanto aveva fatto fino a quel momento "... bene, vediamo cosa si può fare...", da una tasca dei pantaloni tirò fuori dei gomitoli di lenza, da uno ne cercò il capo e cominciò a costruire un finale a nodi. Ogni spezzone lo stirò con le dita con forza e in velocità, se lo avessi fatto io mi sarei sicuramente ferito ogni dito. Dopo ogni nodo fatto si aiutava anche con i denti per renderlo ben stretto, seguirono altre stirature del finale e alla fine, sempre da una tasca dei pantaloni, tirò fuori alcune scatole di fiammiferi svedesi. Aprì e richiuse più volte quelle scatole finché ne scelse una dalla quale prelevò una strana mosca che non aveva niente a che fare con quelle che avevo comperato io, a prima vista le mia sì che erano delle belle e vere mosche! "Le costruisco io... per alcuni pescatori questo tipo di sedge non sarebbe adatta in questo periodo e per quest'ora ma l'altro ieri ho visto che funzionava... eh, i pesci sono strani sai, ricordalo sempre!". Non sarebbe stata adatta per questo periodo e per quest'ora? E sedge che cavolo voleva dire? Boh! Annodò la mosca al finale appena costruito e scese nell'acqua, "Dai vieni...", io esitai, "... dai vieni, tra non molto il sole tramonterà!", Lo raggiunsi controvoglia. Lo guardai mentre con calma eseguì un lanciò così perfetto che ancora ricordo come se quei momenti venissero passati alla moviola dove posso rivederli più volte in avanti, indietro, rallentando o velocizzando il passo, persino effettuando il fermo immagine. La mosca arrivò precisa proprio dove pochi istanti prima un cavedano aveva bollato e subito dopo la canna era curva sull'acqua. Ora Gino mi appariva come uno di quei pescatori che avevo visto su quelle riviste alcune ore prima. Gino aveva visto riaccendersi la luce nei miei occhi: "Dai, prova tu adesso!". Mi ritrovai così con la canna in mano e Gino al mio fianco che mi assisteva nel coordinare i miei movimenti. Mi sembrava di cominciare a capirci qualcosa ed ero come preso da una strana euforia, mi sentivo felice. 

Eravamo quasi all'imbrunire quando per la prima volta sono riuscito a sentire in canna un pesce: che sensazione magnifica e, credetemi, a mosca è veramente tutta un'altra cosa! Da allora ogni nuova cattura l'ho sempre vissuta alla stessa maniera: come se fosse la prima volta!
Era già buio quando si attraversò assieme il fiume, Gino avanzava con cautela di fronte a me ma si vedeva che anche lui conosceva bene quel tratto di fiume. Mi accompagnò fin dove avevo lasciato Frida, lo ringraziai e prima che gli porgessi la mano per salutarlo accennò: "Se vuoi, domani pomeriggio sarò di nuovo qui quindi...", "Purtroppo lavoro e non credo di arrivare prima delle sei..." risposi con un po' di rammarico ma Gino, con una disponibilità che non avevo visto in nessuno fino ad allora, mi sorrise e: "Per me va bene, sono in pensione" poi, guardando nel buio a monte e a valle del fiume, aggiunse: "... la pesca è ormai il mio unico divertimento pertanto se decidi di venire mi troverai da queste parti fino a ora tarda...". Ci salutammo, la stretta di mano fu forte e calorosa, inutile dire che avevo accettato e così, anche nei giorni successivi, subito dopo il lavoro, fuggivo sul fiume ad incontrare Gino... 

LE LEZIONI DI GINO

Già dal giorno dopo tutto quello che credevo fosse facile non lo era più! Gino mi sottopose a delle lezioni e allenamenti estenuanti: ripetere i lanci affinché non fossero stati praticati correttamente o quanto meno, a sentire lui, sufficienti per provare a pescare. Imparare a lanciare fu veramente la parte più difficile e anche dolorosa. Pensavo spesso a come era rilassante e meno faticosa la pesca che praticavo prima! Il dolore, per le cattive posture che mi ostinavo a mantenere, si diffuse dalla mano al braccio, alla spalla e poi alla schiena. Quando accennavo ad una minima smorfia o un momento per rilassarmi Gino era pronto a dirmi: "Dai, forza, non vorrai smettere adesso che siamo già a un buon punto?" e, facendo percepire una certa impazienza, aggiungeva: "Se non te la senti più lasciamo perdere tutto e amici come prima... tu torni alla tua pesca e io, finalmente, a pescare!". Mai avrei ferito il mio giovane orgoglio e questo, da buon vecchio vissuto, Gino lo sapeva.

Luglio finì e giunsero le tanto attese ferie ed io, a dir di Gino, sapevo già effettuare dei discreti lanci ma, in verità, so bene che l'ottimo, ancor oggi, ha da venire! Eh, sì la perfezione era ed è tutt'altra cosa. Gino inoltre cercò di insegnarmi a come sfruttare l'energia dell'acqua e persino a come far "scivolare" gli artificiali nelle correnti in modo che non apparissero sempre a suo dire come delle "piume morte", ma in questo riuscirò in parte molti anni dopo.

In quel mese avevo imparato molto e, anche se mancavo di quella grazia che contraddistingue ogni provetto pescatore a mosca, ero comunque capace di far posare una mosca nel punto giusto. Già da allora ero convinto che la pesca a mosca non era uno sport ma il giusto connubio tra sentimento, scienza ed etica! Negli anni successivi, mi diletterò fino alla noia nello studio, ricerche e appunti su quanto sta dietro ad ogni buona attrezzatura, tecnica, metodo e anche tutto ciò che è rispetto per l'ambiente. Non so quante notti ho trascorso in compagnia di libri scritti dai più noti entomologi, come erano difficili e lunghi i nomi in latino per degli esseri così piccoli come lo sono gli insetti! Sono sincero: non ho imparato molto ma, grazie a quelle ricerche, ho capito l'importanza degli ecosistemi e il valore della biodiversità. Ho letto alcuni trattati scritti da maestri della pesca a mosca e di tanti altri autori italiani scoprendo così che, anche in questo, l'Italia vantava una gloriosa storia che cominciava ad essere fatta da tanti uomini più o meno noti, una storia ricca di associazioni, circoli e ritrovi, piena di momenti e situazioni che in futuro non avrebbe avuto niente da invidiare ad altri paesi. Oggi purtroppo si sta perdendo ogni traccia di un passato che ha fatto la storia della pesca a mosca in Italia e non solo. In quegli anni ho trascorso tanto tempo nei fiumi e nei torrenti, certo avevo imparato le basi ma ero consapevole che per la perfezione non l'avrei mai raggiuta e che forse una vita non è sufficiente per raggiungerla.

A Ronta di Mugello, una località vicino a Borgo San Lorenzo, avevo dei parenti e spesso trascorrevo le vacanze presso di loro e quindi: dove avrei potuto trascorrere le ferie quell'anno? Quasi tutti i giorni mi davo appuntamento con Gino nei torrenti e nei fiumi del Mugello dove il sant'uomo si prodigava ad insegnarmi a lanciare in qualsiasi condizione come negli spazi ristretti o tra le fronde degli alberi per raggiungere, con la posa della mosca, l'acqua sottostante. In questi casi Gino non parlava con tanti tecnicismi ma si esprimeva semplicemente dicendo: "... e ora vediamo se si riesce a pescare anche qui...". A quei tempi qualche bella regina regnava ancora in quelle splendide acque ed era veramente uno spettacolo vederle combattere per la loro libertà. Si, niente a che vedere con quegli stupidi e malefici ibridi o altri alloctoni che oggi infestano quasi tutti i torrenti e fiumi d'Italia. Quando ci fermavamo a fare merenda Gino mi raccontava delle barzellette e aneddoti della sua giovinezza e delle sue imprese di pesca che, anche senza romanzarle, mi apparivano così vere che mi sembrava di viverle di prima persona. Era nato e vissuto in quei luoghi, era stato contadino e anche operaio e poi, una volta in pensione, di nuovo nei campi. Aveva comunque viaggiato molto, specialmente da giovane, anche all'estero e si riteneva fortunato per questo. Aveva pescato nei fiumi e torrenti della Slovenia, Croazia, Francia, Svizzera, Austria e persino della Spagna. Pescava anche in Grecia quando, durante la seconda guerra mondiale, vi si trovava come fante col grado di caporale. "... comunque..." diceva "... ti posso assicurare che il Mugello è il più bel posto che abbia mai conosciuto e poi dalle nostre parti si mangia meglio!". Mi raccontò che era stato congedato dopo pochi mesi perché durante un brutto temporale che, sempre a suo dire, lo colse mentre era a pesca procurandosi così una brutta polmonite che forzò il suo rientro in patria. Dopo una lunga degenza in ospedale il ritorno a casa non fu felice e la drammaticità della guerra lo colse in tutta la sua pienezza. Mi raccontò che le SS gli avevano massacrato la famiglia solo perché i suoi cari si erano rifiutati di consegnare i tre bovini che avevano nella stalla, da allora era rimasto a vivere da solo, ma di questo non amava parlare con tanti dettagli. Era a pesca anche quando, durante il passaggio del fronte, iniziò un bombardamento. Una bomba gli cadde così vicino che fece uscire tutta l'acqua dal torrente e lui ci scivolò dentro. Nella caduta rimase gravemente ferito ad una gamba e non si poteva muovere. In quei giorni era ospite presso dei suoi parenti, finito il bombardamento e non vedendolo tornare, questi uscirono dal rifugio per cercarlo nei torrenti che sapevano che praticava. Lo trovarono a notte fonda quasi del tutto dissanguato, era in fin di vita ma non volle essere trasportato da nessuna parte affinché non venisse recuperata la sua canna scivolata assieme a lui nel torrente. Una volta mi mostrò la grossa cicatrice che gli correva su tutta la gamba "... diavolo..." disse "... potevo raccontare che era stata una scheggia della bomba... chissà, forse mi avrebbero dato qualcosa in più di pensione...". Mi parlò di quel soldato inglese che conobbe quando il fronte della guerra era già passato da alcuni mesi, anche lui con la passione della pesca a mosca. Lo conobbe, su un torrente dell'alto Mugello, mentre si concedeva una breve licenza anche lui con il suo hobby preferito. In quei giorni diventarono amici e Gino lo accompagnava nelle zone più pescose. Fu quel soldato che, nel salutarlo al termine della sua licenza, gli regalò, in segno della loro amicizia, quell'attrezzatura che accompagnerà Gino in ogni sua uscita di pesca. Non so cosa darei oggi per avere un legno e un mulinello in radica di quell'epoca! Il mese di agosto finì, come le ferie, ed io ero già un pescatore a mosca, nel senso che pescavo con le attrezzature che ben conosciamo, da allora non ho più abbandonato questa tecnica di pesca. Negli anni successivi mi sono incontrato molte volte con Gino anche in fiumi e torrenti diversi da quelli del Mugello come quando decidemmo di fare un salto sul Velino e sul Nera, fu un lungo viaggio e Frida non fu solo l'auto che ci accompagnò ma per circa una settimana è stata anche la nostra casa e Gino rimase molto sorpreso nello scoprire tutte le diavolerie moderne di cui l'avevo dotata tra le quali, secondo lui, la più utile di tutte era quella strana macchinetta per il caffè che, dopo averne esitato l'assaggio la prima volta, se ne appropriò l'uso eleggendosi barista della spedizione. Sul fiume Gino era sempre pronto a correggermi e ad insegnarmi cose nuove come ad esempio costruire sul posto le mosche in base alle schiude del momento. Nella costruzione delle mosche Gino aveva una tecnica tutta particolare per non parlare degli attrezzi e accessori, quasi tutti realizzati da lui nell'officina dove lavorava prima della pensione. Vi posso assicurare che gli artificiali realizzati da Gino avrebbero retto bene il confronto con quelli di Halford. Ancora oggi mi domando come faceva a stargli tutta quella roba nelle tasche di quei vecchi pantaloni di velluto blu. Una volta, senza alcun scrupolo, gli domandai perché indossava sempre quei pantaloni anche d'estate, mi spiazzò dicendomi semplicemente che era allergico ai rovi! 

un tratto del fiume Velino - foto di M. Magliocco

È grazie a Gino che ho imparato a vivere ogni corso d'acqua e a percepirne ogni minimo cambiamento avvenuto dalla visita precedente e, cosa importante, ho imparato ad non avere più fretta. È grazie a lui che ho acquisito il mio senso dell'acqua fino ad arrivare a percepire dove c'è un pesce e come sfidarlo e a rispettarlo specialmente quando la prende vinta. 

GRAZIE GINO

Come purtroppo accade, con il tempo e il sopraggiungere di nuovi impegni, mi sono sempre dedicato di meno alla pesca e lentamente anche con Gino ci siamo persi di vista. Molti anni dopo ero di ritorno da un'escursione nel Salterno, nel rientro mi fermai a far merenda al solito bar-alimentari. Per molti questa è un'abitudine quasi religiosa tanto è vero che a delle ore ben precise alcuni locali diventano dei veri e propri punti di ritrovo per cercatori di funghi, cacciatori e, ovviamente, anche dei pescatori. Non c'è cosa più bella di quella di raccontare le proprie avventure mentre si addenta un ottimo panino di fronte ad un altrettanto buon bicchiere di vino. Non ricordo come e perché ma ci ritrovammo a parlare di Gino e fu qui che venni a sapere. Gino aveva abbandonato per sempre i suoi legni e le sue scatole di svedesi e non sarebbe mai più tornato a visitare i nostri corsi d'acqua. Mi avvolse una strana malinconia, salutai i gli amici e mi recai a Sagginale sul fiume dove lo avevo incontrato la prima volta. Il fiume, la Sieve, non era più lo stesso ma non ero lì per pescare. Mi sembrava di vederlo in mezzo all'acqua, sotto il suo cappello di paglia, dentro i suoi vecchi stivali di gomma che si sorreggevano agli altrettanti vecchi pantaloni di velluto blu, a scrutare il luogo dove avrebbe effettuato il prossimo lancio dopo di che, nella breve attesa, si sarebbe messo ad accarezzarsi la barba bianca o a tirarsi le bretelle. Ogni tanto si toglieva il cappello, sfilava il fazzoletto che teneva al collo e se lo passava sulla fronte e dietro la nuca anche quando non sudava. E poi c'era quel sigaro, forse c'era nato con quel sigaro tra i denti! Forse lo aveva ben stretto in bocca anche alla fine.

Ricordo come era curioso il modo in cui Gino scuoteva la testa a disappunto di una mia imperfezione o quando volevo a tutti i costi sperimentare cose e metodi nuovi quanto, sempre a suo dire, inutili. Ero immerso nei miei pensieri quando ad un tratto, proprio vicino al greto del fiume dove ero seduto, un grosso cavedano uscì fuori dall'acqua facendo un salto altissimo per rituffarsi con una bella capriola proprio lì da dove era uscito, roba da fare stupire anche il più abile tuffatore. Mai avevo visto una cosa simile... no, forse era già successo qualche volta, forse non così vicino. Si era già successo ma io non ci avevo prestato attenzione. Dopo un attimo, che stavo osservando i grandi cerchi lasciati nell'acqua da quell'evento, mi resi conto che stavo sorridendo... grazie Gino 

Anche se le uscite nei "nostri" torrenti e fiumi sono diventare più rare, il desiderio non è mai venuto meno e quindi quelle poche giornate di pesca che mi posso permettere le vivo come un dono della vita. Ogni tanto torno in qualche torrente o fiume dove ho pescato con Gino, ci vado con la mia prima attrezzatura. Frida non è più con me e spesso mi tocca fare qualche chilometro a piedi... ah, queste auto moderne! Meglio così, purtroppo l'età avanza e anche per me un po' di movimento non guasta ma poi è bello camminare immersi nel verde e nel silenzio dei nostri boschi e quante cose ci sono da vedere, da imparare e, perché no, da amare. In queste occasioni incontro altri pescatori, qualcuno di loro sorride quando vede la mia vecchia bardatura ma io lascio perdere e continuo nella mia direzione anche perché, più avanti, c'è sicuramente un pesce che mi aspetta...

Massimo Mascalchi